Con questa sentenza il TAR dell’Aquila ha stabilito che lo studente, difeso dall’avvocato Massimo Sidoti, proveniente da un ateneo straniero che richieda il trasferimento ad anni successivi al primo, non debba superare i test di ammissione previsti per la facoltà di odontoiatria. La sentenza é significativa perché é stata tra le prime in tal senso, segnando le successive pronunce dei TAR italiani, ed infine del Consiglio di Stato.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’ Abruzzo
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 563 del 2011, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
A.S., rappresentato e difeso dall’avv. Massimo Sidoti, con domicilio eletto presso Segreteria TAR in L’Aquila, via Salaria Antica Est;
contro
Università degli studi dell’Aquila, rappresentata e difesa dall’Avvocatura dello Stato, domiciliata presso la sede della stessa in L’Aquila, Complesso Monumentale S. Domenico;
Ministero dell’Istruzione dell’Universita’ e della Ricerca;
per l’annullamento
– del Decreto Rettorale dell’Università degli studi dell’Aquila repertorio 1189/2011, prot. 26089, pubblicato il 2 agosto 2011 nella parte in cui, riferendosi al Corso di laurea in Odontoiatria e protesi dentaria, non consente ai cittadini comunitari di essere assegnatari dei posti originariamente riservati ai cittadini extracomunitari che siano rimasti vacanti.
– della nota Prot. n. 30757 del 21/03/2011 con cui l’Università de L’Aquila comunica i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza di trasferimento nonché del presupposto decreto 1079/2011;
– del silenzio-inadempimento formatosi il giorno 11/11/2011 in relazione all’emanazione del preavviso di rigetto notificato al ricorrente in data 01/10/2011.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Universita’ degli Studi De L’Aquila;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 giugno 2012 il dott. Alberto Tramaglini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il ricorrente, cittadino italiano iscritto al secondo anno del corso di laurea in odontoiatria e protesi dentaria all’Università europea di Madrid, con il ricorso introduttivo ha impugnato il Decreto rettorale 1189/2011 del 2 agosto 2011 con cui sono stati quantificati i posti disponibili ai fini del rilascio dei nulla osta necessari per l’iscrizione agli anni successivi al primo per i corsi di laurea a numero programmato. Riguardo al Corso di Laurea di interesse, evidenzia che il bando non ha previsto alcun posto per gli studenti comunitari mentre ne ha riservati diciassette a quelli extracomunitari. I posti così riservati non sono stati tuttavia coperti per assenza di richieste. Avendo presentato la propria istanza di nulla osta al trasferimento, ritiene illegittimo il bando nella parte in cui esclude, o comunque non prevede, la possibilità di assegnare agli studenti comunitari i posti ancora disponibili originariamente riservati all’altra categoria. Tale preclusione, oltre a contraddire l’art. 3 del medesimo decreto (“I posti disponibili nei diversi anni di corso di un determinato corso di studi vengono considerati come un unico pool di posti da utilizzare, per il rispettivo corso di laurea, nel rispetto dei seguenti criteri di priorità…”), che imporrebbe di considerare unitariamente e globalmente il numero dei posti disponibili, violerebbe l’art. 3 della l. 264 del 1999 nonché principi costituzionali e derivanti dai trattati CE, UE, CEDU.
2. In data 21.9.2011, l’amministrazione ha quindi comunicato, ex art. 10 bis l. 241/1990, la ragioni ostative all’accoglimento dell’istanza, ritenendo che la domanda di trasferimento dovesse essere respinta ai sensi dell’art. 3 del predetto bando (in base al quale il procedimento sarebbe riservato ai soli studenti provenienti dallo stesso corso di studi di atenei italiani) nonché dell’art. 2, 2° comma del D. R. n. 1079/2011 del 7.7.2011 che richiederebbe comunque, agli iscritti presso università non italiane, il superamento della prova di ammissione.
Tale nota, unitamente alla presupposta norma del decreto rettorale 1079, è stata impugnata con motivi aggiunti con cui si deduce che l’art. del D. R. 1189/2011 del 2 agosto 2011 non stabilisce alcuna preclusione nei confronti di studenti provenienti da università estere, mentre l’art. 2, 2° comma, D. R. n. 1079/2011 sarebbe riferibile unicamente agli studenti che chiedono l’iscrizione al primo anno. La norma sarebbe comunque illegittima ove la stessa dovesse applicarsi anche per l’iscrizione ad anni successivi al primo.
Infine con ulteriori motivi aggiunti il ricorrente agisce avverso la formazione del silenzio-inadempimento, che ritiene formatosi il 11/11/2011 visto che dopo il preavviso di rigetto (notificatogli il precedente 1° ottobre) non è seguito il provvedimento conclusivo.
Le difese dell’amministrazione sono affidate a note dell’amministrazione con cui si conclude per l’infondatezza del ricorso alla luce della recente giurisprudenza del Consiglio di Stato in argomento.
3. Il collegio preliminarmente osserva:
– che con il ricorso introduttivo è stato impugnato un atto di carattere generale (decreto rettorale 2.8.2011 e relativi atti presupposti), disciplinante i criteri per il rilascio dei nulla osta ai fini dell’iscrizione ad anni successivi al primo, nella parte in cui ha riservato 17 posti del corso di laurea in “odontoiatria”a studenti extracomunitari non residenti in Italia senza la contestuale previsione della possibilità di riassegnare i posti rimasti vacanti a studenti provenienti (come il ricorrente, iscritto al secondo anno del corso di laurea in odontoiatria e protesi dentaria dell’Università europea di Madrid) da università comunitarie;
– che il ricorrente ha dedotto che tutti i predetti posti riservati sono rimasti vacanti e che la sua è stata l’unica domanda di trasferimento presentata, cosicché vi sarebbe ampia disponibilità;
– che con un primo atto di motivi aggiunti è stata impugnata la nota con cui sono stati comunicati i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza di trasferimento;
– che l’impugnazione è stata estesa anche alla presupposta norma del bando pubblicato il 7 luglio 2011 (art. 2, comma 2) che indice le prove per l’ammissione al corso di laurea in odontoiatria e protesi dentaria nella parte in cui prescrive che gli studenti di odontoiatria iscritti presso università non italiane debbano superare la prova di ammissione al corso in quanto ostativa all’accoglimento della domanda;
– che con ulteriori motivi aggiunti sono stati impugnati atti relativi alla regolamentazione dei trasferimenti ed è stato altresì dedotto il silenzio-inadempimento formatosi sull’istanza di trasferimento.
Deve quindi constatarsi che l’amministrazione resistente non ha adottato l’atto che definisce il procedimento, essendosi limitata a preannunciare il diniego. Va pertanto preliminarmente verificata d’ufficio l’ammissibilità di ricorso e motivi aggiunti in quanto diretti nei confronti di atti di carattere generale nella parte in cui precluderebbero l’accoglimento dell’istanza.
Il ricorso deve essere ritenuto ammissibile nella parte in cui si rivolge contro la previsione del bando che riserva i posti disponibili agli studenti extracomunitari e di conseguenza esclude che possano partecipare alla procedura studenti italiani provenienti da università estere. Non appare infatti dubbio che si tratti di previsione immediatamente lesiva, in quanto preclude l’accesso ai soggetti non forniti delle caratteristiche richieste, di cui il formale provvedimento di diniego costituisce atto meramente applicativo.
Per altro verso il ricorso ha, in buona sostanza, per oggetto la tutela del diritto soggettivo allo studio di cui agli artt. 33 e 34 Cost. e pertanto si controverte in materia di servizio pubblico dell’istruzione, attribuita alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. c), cod. proc. amm. (cfr. TAR Palermo, 12 luglio 2012, n. 1527);
3.1 – In ordine al merito di tale impugnazione, va segnalato come l’orientamento di vari tribunali, favorevole alle tesi prospettate dall’odierno ricorrente, non sia condiviso dal giudice di appello
(anche se le ordinanze 647,1034,1074/2012 sono indicative di una diversa considerazione della questione). Il Consiglio di Stato, sulla scia di sez. VI, 30 dicembre 2005 n. 7622, ha in particolare ritenuto che “l’appellato non ha mai concorso sui … posti riservati agli extracomunitari non residenti in Italia, posti che costituiscono una quota non attribuibili agli studenti comunitari”, visto che quanto preteso “è stato consentito in via eccezionale (solo per l’a.a. 1999/2000) e solo in forza di legge (art. 1, comma 2, della l. 27 marzo 2001, n. 133)”. La preclusione a transitare da una graduatoria all’altra viene supportata dalla considerazione secondo cui “quella riservata agli extracomunitari non residenti in Italia è finalizzata alla formazione del personale che, dopo il conseguimento del titolo di studio, è destinato a rientrare al proprio Paese di origine, senza alcuna incidenza sulla situazione occupazionale italiana”. D’altronde “ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. a), della l. 2 agosto 1999, n. 264 – rileva la “valutazione dell’offerta potenziale del sistema universitario”, ma va tenuto anche conto del “fabbisogno di professionalità del sistema sociale e produttivo”; fabbisogno che, mentre tendenzialmente non è inciso dagli studenti extracomunitari non residenti in Italia, lo è, invece, da parte dei cittadini italiani e comunitari, nonché degli extracomunitari residenti in Italia” (così sez. VI, 18 ottobre 2011 n. 5593 e, in termini identici, 15 luglio 2010 n. 4556).
Riformando cinque sentenze di questo TAR sulla questione, sez. VI, 10 aprile 2012, n. 2063, ha d’altra parte escluso che la pretesa in parola potesse trovare fondamento nell’ordinamento comunitario, visto che lo stesso “garantisce – a talune condizioni – il riconoscimento dei soli titoli di studio e professionali e non anche delle mere procedure di ammissione (in alcun modo armonizzate al livello comunitario)”, limitandosi l’articolo 149 del TCE “a fissare quale obiettivo meramente tendenziale dell’operato della Comunità quello di favorire la mobilità degli studenti e di promuovere il riconoscimento accademico dei diplomi e dei periodi di studio”.
3. 2 – Il collegio ritiene tuttavia di ribadire il proprio orientamento, tornando a condividere quanto già osservato da Cons. St. sez. VI, 10.9.2009 n. 5434 (che ha disatteso le deduzioni dell’amministrazione invece fatte proprie da sez. VI, 7622/2005, cit.) nonché il persistente orientamento dei giudici di primo grado (cfr. TAR Catania, III, 23 settembre 2011 n. 2301 e 12 gennaio 2012 n. 69; TAR Salerno, 27febbraio2012 n. 389; TAR Napoli, IV, 20 marzo2012, n. 1326; TAR Sardegna, 9maggio2012 n. 507; TAR Abruzzo, L’Aquila, 30aprile2012 n. 293).
Una volta constatato che l’Università, “per organico di docenti, strutture ed assetto organizzativo”, è in grado “di assicurare idoneo percorso formativo”, va in particolare condivisa l’osservazione che tra i due contingenti di posti non sussiste rigida separazione, conclusione che “non contrasta … con lo scopo primario perseguito dalla disciplina del numero programmato a livello nazionale degli accessi ai corsi di laurea elencati all’ art. 1 della legge n. 264/1999, che dà preminente rilievo all’“offerta potenziale del sistema universitario”, secondo i parametri individuati dal successivo art. 3, comma 2, della legge predetta (posti nelle aule, attrezzature e laboratori scientifici per la didattica, personale docente, ed altro)”. Né così si determina alcuna interferenza con l’ulteriore parametro di guida (che assume evidente valore subordinato) della programmazione del numero delle iscrizioni (che va effettuata “tenendo anche conto del fabbisogno di professionalità del sistema sociale e produttivo”), trattandosi “di criterio che è chiamato ad operare nell’ampio mercato del lavoro a livello comunitario” (Cons. St., 5434/2009). Livello comunitario che non è invece affatto preso in considerazione dall’annuale determinazione del fabbisogno (cfr., per l’a.a. 2011/2012, D.M. 4 agosto 2011), effettuata ai sensi dell’art. 6ter d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, in base al quale “il Ministro della sanità … determina … il fabbisogno per il Servizio sanitario nazionale … ai soli fini della programmazione da parte del Ministero dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica degli accessi ai corsi di diploma di laurea, alle scuole di formazione specialistica e ai corsi di diploma Universitario”. Tale determinazione (e non già mera rilevazione) non solo esclude ogni valutazione che esuli dall’ambito nazionale, ma si limita a considerare le sole prestazioni richieste dal SSN, che evidentemente non esauriscono l’intera gamma del “fabbisogno di professionalità del sistema sociale e produttivo”.
Va ulteriormente osservato che la “convenzione sul riconoscimento dei titoli di studio relativi all’insegnamento superiore nella regione europea” (convenzione di Lisbona dell’11 aprile 1997, ratificata con L. 148 del 2002) -premesso che “il diritto all’istruzione è uno dei diritti dell’uomo e l’insegnamento superiore … rappresenta un patrimonio culturale e scientifico eccezionalmente ricco tanto per i singoli che per la società”, di cui “un equo riconoscimento dei titoli di studio è un elemento chiave del diritto all’istruzione e una responsabilità della società”- è diretta a garantire la mobilità internazionale di studenti (con le procedure di riconoscimento dei periodi di studio di cui alla sez. V della convenzione ed art. 2 l. 148/2002) e laureati nonché la libera circolazione dei professionisti, cosicché il fabbisogno del mercato di riferimento, che appare tendenzialmente ben più ampio delle esigenze del sistema interno, non sembra possa risentire una qualche conseguenza qualora uno studente comunitario transiti da un’università comunitaria all’altra.
D’altra parte “la riserva di posti in favore degli studenti extracomunitari non comporta la necessaria e non eludibile spendibilità del titolo di laurea nel paese di origine”, potendo taluni di essi trovare un inserimento lavorativo nel SSN o in ambito europeo, cosicché nulla esclude che tale contingente venga comunque ad incidere sul predetto fabbisogno. Non si vede, viceversa, come precludere ad un cittadino italiano, previo riconoscimento del titolo conseguito in ambito comunitario, di spendere tale laurea proprio nel paese di origine, cosicché anche da questo versante le giustificazioni fondate sull’intangibilità del fabbisogno mostrano ampi margini di incertezza.
E’ d’altronde fatto notorio che non tutti gli iscritti conseguono la laurea, così che la capacità di assorbimento del sistema sociale e produttivo resta comunque salvaguardata (Cons. St., 5434/2009 cit.). E, peraltro il periodo richiesto per conseguire la laurea è lungo a sufficienza perché possa nel frattempo verificarsi il mutamento del fabbisogno originariamente considerato (in argomento, di recente, TAR Salerno, n. 389/27febbraio2012).
Né appare convincente il riferimento (che compare fin dalla richiamata decisione CdS 7622/2005) all’art. 3 l. 133/2001, con cui il legislatore ha espressamente consentito, per l’anno accademico 1999-2000 lo scorrimento degli studenti italiani nel contingente riservato agli studenti non comunitari, che le richiamate sentenze intendono nel senso che tale scorrimento è perciò normalmente precluso. Sennonché “tale argomento non considera che, stante i ricordati principi costituzionali sul diritto allo studio ed al sapere, le uniche norme che debbono essere stabilite espressamente sono quelle che in qualche modo limitano il diritto prefigurato dalla Carta fondamentale della Repubblica e non certo le norme che, nel rispetto della Costituzione, consentono il libero accesso agli studi da parte di tutti i cittadini” (TAR Catania, III, 23 settembre 2011 n. 2301 e 12 gennaio 2012 n. 69), cosicché, come osservato da CdS 5434, la norma esprime al contrario “il principio che va privilegiato il diritto di accesso agli studi, anche a livello universitario, in presenza di un’offerta formativa conforme agli standard europei”.
3.3 – Tenuto conto “che l’accesso “in corso di studi” (cioè per anni successivi al primo) per studenti stranieri provenienti da Atenei europei non è affatto regolamentato” (così TAR Sardegna 507/2012; la lacuna è segnalata, tra le altre, anche da TAR Napoli, IV, 20 marzo2012, n. 1326; TAR Umbria 28ottobre2011 n. 336), il collegio ritiene quindi preferibile l’interpretazione che privilegia la possibilità di consentire il pieno impiego delle risorse pubbliche (con la corrispondente fruizione del servizio da parte dei cittadini richiedenti) su quella che ha invece l’effetto di lasciare parzialmente inutilizzate le capacità ricettive della struttura universitaria (su cui, ai sensi dell’art. 46. 1° comma, ultimo periodo, DPR 31 agosto 1999, n. 394, gravano gli accessi riservati).
In particolare, l’affermazione dell’amministrazione fatta propria dal giudice di appello, secondo cui i posti riservati ai cittadini extracomunitari costituiscono “quota non occupabile da parte degli studenti comunitari”, essendo tale riserva “finalizzata alla formazione di personale che, dopo il conseguimento del titolo di studio, è destinato a rientrare nel proprio paese di origine, senza alcuna incidenza sulla situazione occupazionale italiana”, al contrario degli stranieri residenti in Italia (cfr., per tutte, Cons. St., sez. VI, 30 dicembre 2005 n. 7622), oltre ad avere elevati margini di opinabilità alla luce delle osservazioni di cui al punto precedente, sembra delineare un quadro in cui l’accesso all’istruzione finisce per essere limitato non tanto dalla capacità ricettiva del sistema formativo, bensì da valutazioni incentrate sulle richieste del mercato del lavoro. Argomento, questo, che ad avviso del collegio disattende i principi costituzionali delineati dagli art. 33 e 34 Cost.
Intervenendo sulla disciplina previgente in materia, Corte Cost. n. 383 del 1998 ha infatti osservato che “l’organizzazione dell’università, come servizio pubblico, da una parte, coinvolge diritti costituzionali della persona umana come il diritto alla propria formazione culturale (art. 2 della Costituzione) e quello alle proprie scelte professionali (art. 4 della Costituzione), a sua volta mezzo essenziale di sviluppo della personalità (sentenza n. 61 del 1965) e, dall’altra parte, implica decisioni pubbliche d’insieme, inerenti alla determinazione delle risorse necessarie per il funzionamento delle istituzioni scolastiche in genere e universitarie in specie, che influisce sulle prestazioni da esse erogabili”, mettendosi così in evidenza che la giustificazione costituzionale del “numero chiuso” scaturisce dal nesso tra diritti e risorse. L’esercizio di tali diritti presuppone, infatti, che “tra la disponibilità di strutture e il numero di studenti vi sia un rapporto di congruità, in relazione alle specifiche modalità dell’apprendimento”, visto che “Organizzazione e diritti sono aspetti speculari della stessa materia, l’una e gli altri implicandosi e condizionandosi reciprocamente”. Ed in successivo passaggio precisa che la previsione delle limitazioni nelle iscrizioni è giustificata in presenza di “esigenze particolari di contenimento del sovraffollamento”.
Non sembra, pertanto, che un’interpretazione che evochi criteri di sbarramento ulteriori rispetto a quelle derivanti da esigenze di carattere organizzativo possa ritenersi compatibile con le norme costituzionali che configurano il diritto all’istruzione in chiave del tutto opposta a quella che lo riduce invece a mera variabile dipendente dalle richieste di mercato.
Il carattere ingiustificatamente restrittivo del riferimento al “fabbisogno” è stato peraltro ripetutamente messo in evidenza dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato: “Restrizioni all’accesso per l’esercizio di un’attività professionale sono giustificabili solo in presenza di importanti asimmetrie informative, in quanto la qualità minima della prestazione dovrebbe essere garantita dalle selezioni per l’accesso alla professione: tuttavia, tali restrizioni devono essere valutate con grande attenzione e cautela (…). Pertanto, una determinazione del numero di posti universitari disponibili, effettuata anche sulla base di valutazioni attinenti al fabbisogno di professionalità del sistema sociale e produttivo, appare idonea a restringere ingiustificatamente l’accesso al corso di laurea … e a limitare, per tale via, l’accesso alla professione …” (AGCM bollettino n. 5 del 21 febbraio 2011 e, per la specifica laurea in odontoiatria bollettino n. 15 del 4 maggio 2009, posizione recentissimamente ribadita).
Non sembra, in altri termini, che il “fabbisogno di professionalità del sistema sociale e produttivo” (art. 3, comma 1, lett. a, l. 264/1999) possa essere utilizzato quale criterio interpretativo di valenza tale da precludere, in presenza di posti disponibili, l’esercizio di un diritto individuale di rilievo costituzionale. Analogamente, sul punto, TAR Catania, III, 23 settembre 2011 n. 2301 e 12 gennaio 2012 n. 69: “il profilo occupazionale (pur enunciato dall’art. 3, comma 1, lett. a) della L. 264/1999] è da ritenersi recessivo rispetto al dato concernente la concreta potenzialità formativa dell’Università, posto che tale potenzialità (come a suo tempo precisato dalla Corte Costituzionale con sent. 383/1998 che ha generato la riforma di cui alla L. 264/1999) costituisce parametro di salvezza costituzionale del c.d. numero programmato degli accessi universitari”, cosicché “dell’art. 3, comma 1 lett.a), della legge n. 264/1999, va data una interpretazione costituzionalmente orientata, nel senso che il riferimento al “fabbisogno di professionalità del sistema sociale e produttivo”, non può mai prevalere sulla disponibilità strutturale delle università ad assicurate il diritto allo studio”.
3.4 – Nemmeno condivisibile è la tesi secondo cui la pretesa qui avanzata non trovi alcun conforto nell’ordinamento comunitario ed in quello derivante da convenzioni internazionali.
Come rilevato di recente da TAR Sardegna, 9 maggio 2012 n. 507 (secondo cui “L’iscrizione al secondo anno, formulata su posto disponibile e vacante … con richiesta di “passaggio” da altra università europea … è coerente con il principio di libera circolazione degli studenti universitari fra Stati europei e di riconoscimento dei periodi di studio svolti all’estero”), Cons. St., sez. II, parere n. 1553 del 20aprile2011 (Adunanza sezione del 12.1.2011 n. affare 3286), si è pronunciato per l’accoglimento del ricorso straordinario proposto da alcuni studenti (del 3° e 5° anno di una Università rumena) di transitare alla Facoltà di Odontoiatria dell’Aquila, sulla base della considerazione che “la vigente normativa europea, in particolare l’articolo 2 della legge n. 148 del 2002, che ratifica e dà esecuzione alla convenzione sul riconoscimento dei titoli di studio relativi all’insegnamento superiore nella regione europea, stabilisce la competenza delle università, nell’ambito della loro autonomia e in conformità ai rispettivi ordinamenti, in merito alle valutazioni di equivalenza per il <riconoscimento dei cicli e dei periodi di studio svolti all’estero> e dei titoli di studio stranieri”.
In presenza di norme sovranazionali che tendono a garantire la mobilità di studenti e laureati attraverso procedure di riconoscimento non solo di titoli, ma anche dei “cicli e periodi di studio svolti all’estero … ai fini …del proseguimento degli studi universitari”, la cui competenza è demandata “alle Università … che la esercitano nell’ambito della loro autonomia” (art. 2 L. 148/2002), ed in assenza di specifiche disposizioni regolamentari d’ateneo che disciplinino la materia, una simile preclusione al trasferimento nega la valutazione sul merito degli studi effettuati all’estero e quindi l’accesso universitario, così limitando, senza adeguata giustificazione, il diritto individuale di cui all’art. 34, primo comma della Costituzione, che “si qualifica come diritto della persona e non soffre limitazioni in relazione al grado di istruzione” (Cons. St. 5434/2010, cit.).
3.5 – Tali considerazioni, che implicherebbero la disapplicazione di eventuali atti amministrativi (peraltro non evocati in giudizio, né emergenti dalla documentazione depositata dall’Università resistente) che illegittimamente disponessero l’impossibilità di transitare sui predetti posti vacanti, portano all’accoglimento del ricorso introduttivo con conseguente annullamento del bando nella parte in cui rende indisponibili i posti riservati agli studenti extracomunitari.
4. Sono ammissibili, per ragioni analoghe a quelle prima considerate, anche i motivi aggiunti nella parte in cui contestano la previsione del decreto rettorale che richiede comunque il superamento della prova di ammissione (rileva la necessità di tale impugnazione la citata CdS 2063/2012).
Tali motivi sono altresì fondati.
Va infatti considerato -ferma la già rilevata necessità della disponibilità di posti- che la L. 264/1999 non prevede la suddetta prova per i trasferimenti diretti all’iscrizione ad anni successivi al primo.
Il fatto che la norma si riferisca ad “apposite prove di cultura generale, sulla base dei programmi della scuola secondaria superiore, e di accertamento della predisposizione per le discipline oggetto dei corsi” (art. 4) mostra anzi come la platea di soggetti presa in considerazione sia data esclusivamente da studenti che chiedono di iscriversi al primo anno, essendo invece palesemente incongruo che la “predisposizione” o la capacità e il merito (art. 34, 2° co., Cost.) di uno studente che abbia già effettuato un percorso formativo all’estero, e che magari sia prossimo alla laurea, siano verificati attraverso prove di cultura generale piuttosto che in base alla valutazione del percorso di studi fino ad allora effettuato (dubita della “congruenza di tali scelte nella considerazione che gli studenti che chiedono l’iscrizione ad anni successivi al primo hanno un diverso e superiore livello di conoscenze rispetto a quello, meramente scolastico, richiesto agli studenti che chiedono l’iscrizione al primo” TAR Catania, III, 22 novembre 2012 n. 2665).
In ciò tenuto peraltro conto che non è in alcun modo prospettata la non equipollenza delle competenze e degli standard formativi dell’Università di provenienza rispetto a quelli richiesti per l’accesso all’istruzione universitaria nazionale. La ricordata sentenza della Corte costituzionale evidenzia come, in epoca precedente alla direttiva 2005/36/CE del 7 settembre 2005, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, “varie direttive (78/686/CEE del Consiglio, del 25 luglio 1978; 78/687/CEE del Consiglio, di pari data; 78/1026/CEE del Consiglio, del 18 dicembre 1978; 78/1027/CEE del Consiglio, di pari data; 85/384/CEE del Consiglio, del 10 giugno 1985; 89/594/CEE del Consiglio, del 30 ottobre 1989 e 93/16/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993) … concernono il reciproco riconoscimento, negli Stati membri, dei titoli di studio universitari sulla base di criteri uniformi di formazione, l’esercizio del diritto di stabilimento dei professionisti negli Stati dell’Unione nonché la libera prestazione dei servizi e riguardano, al momento, i titoli accademici di medico, medico-veterinario, odontoiatra e architetto. Le ricordate direttive prescrivono, in vista dell’analogia dei titoli universitari rilasciati nei diversi Paesi e del loro reciproco riconoscimento, standard di formazione minimi a garanzia che i titoli medesimi attestino il possesso effettivo delle conoscenze necessarie all’esercizio delle attività professionali corrispondenti. In tutti i casi cui le direttive si riferiscono, si prescrive che gli studi teorici si accompagnino necessariamente a esperienze pratiche, acquisite attraverso attività cliniche o, in genere, operative svolte nel corso di periodi di formazione e di tirocinio aventi luogo in strutture idonee e dotate delle strumentazioni necessarie, sotto gli opportuni controlli”.
In presenza di analoghi percorsi formativi, e tenuto conto che per la laurea in questione l’accesso è programmato “in conformità alla normativa comunitaria vigente e alle raccomandazioni dell’Unione europea che determinano standard formativi tali da richiedere il possesso di specifici requisiti” (art. 1, lett. a, l. 264/1999), la pretesa dell’amministrazione di sottoporre a test di ingresso studenti che chiedano l’iscrizione ad anni successivi al primo si manifesta, quindi, come una limitazione del diritto in parola priva di ragionevole giustificazione.
4.1 – Talune decisioni (cfr. TAR Umbria 28 ottobre 2011 n. 336, TAR Sicilia, Catania, I, ord. 3 giugno 2010, n. 681) adombrano inconvenienti (creazione di un processo di migrazione verso università comunitarie aggirando la normativa sull’esame di ammissione), che ad avviso del collegio non hanno ragion d’essere.
Alla censura secondo cui “la necessità del superamento della prova d’accesso ivi prevista per le iscrizioni al primo anno, non si applica ai “trasferimenti” dalle università, tanto meno se di altro Stato comunitario”, TAR Umbria cit. “riconosce che la normativa non affronta espressamente tale aspetto, limitandosi a prevedere la possibilità di trasferimento, durante il corso universitario, di studenti comunitari ed extracomunitari (quindi, senza escludere gli studenti italiani immatricolati all’estero) in università italiane”. Colma, tuttavia, la lacuna in base ai principi “desumibili dalla legge nazionale, che regolano l’accesso agli studi universitari, tra i quali … per i corsi della facoltà di medicina figura ormai da tempo la selezione dei più meritevoli, cioè di coloro i quali dimostrano di possedere le maggiori conoscenze ed attitudini, con riferimento ad un determinato standard qualitativo. Ciò sarebbe vanificato se venisse consentito a chi, in ipotesi, non è riuscito ad accedere ai corsi italiani, o non si è nemmeno sottoposto alle relative prove, o addirittura non ha superato nemmeno all’estero alcuna seria prova di accesso, di iscriversi per trasferimento durante il corso di laurea, semplicemente sostenendo l’onere dell’immatricolazione e della frequenza al primo anno di corso all’estero”.
E tuttavia conoscenze ed attitudini possono essere ben più concretamente verificate, piuttosto che con giudizi sulla “equiparabilità” del test di ingresso sostenuto in altro paese, proprio con l’analisi del curriculum “al fine di valutare ed eventualmente convalidare gli esami già sostenuti presso l’altro Ateneo, individuando in tal caso l’anno al quale il medesimo può essere iscritto – cfr. TAR Sicilia, Catania, II, 16 marzo 2009, n. 503”. Il controllo sul percorso formativo consente infatti un accertamento ben più significativo su cultura e “predisposizione” rispetto a quello che sono in grado di fornire prove di cultura generale a livello di scuola media superiore: “Invero, non è detto che lo studente che chieda il trasferimento provenendo da altro Ateneo ed avendo ivi sostenuto gli esami del primo anno di corso, debba essere iscritto automaticamente al secondo anno di corso presso l’Università italiana prescelta” (TAR Catania, III, 2665/2012, cit.), derivando invece tale iscrizione dalla valutazione della carriera pregressa e dalla convalida dei crediti conseguiti presso il diverso Ateneo, all’esito della quale potrà giungersi ad un giudizio di piena equipollenza degli studi già sostenuti e solo in tal caso “potrà essere disposta la iscrizione dello studente al secondo anno di corso- ovviamente nei limiti dei posti resisi disponibili” (TAR Napoli, sez. IV, 1326/2012, cit.).
Se all’esito di tale processo di convalida si determina l’iscrizione ad anno successivo al primo, si è per ciò stesso dimostrato il merito, ossia proprio il possesso di quelle conoscenze ed attitudini che il test, decisamente in minor grado, è preordinato ad accertare.
Il silenzio della legge sul punto non consente perciò una lettura estensiva della norma, trattandosi di incidere su diritto coperto da riserva di legge.
4.2 – Tenuto conto della copertura costituzionale di tale diritto e del suo collegamento con i principi fondamentali della Repubblica, il collegio è peraltro dell’avviso che una “selezione” si rende necessaria solo qualora le domande di iscrizione siano superiori alla disponibilità dei posti, nei casi cioè in cui si debba fronteggiare il sovraffollamento che ha costituito la causa ispiratrice della normativa sul numero chiuso. Il test di ammissione ha infatti la funzione di selezionare i potenziali iscritti in modo da consentire l’accesso ad un numero pari al numero dei posti assegnati [cfr. TAR Pescara 16ottobre2012 n. 418: “il Collegio ritiene di dover pienamente condividere l’insegnamento di quella giurisprudenza (C.d.S., Sez. VI, 14 novembre 2003, n. 7278), che ha messo in evidenza come laratio della disciplina sugli accessi programmati ex l. n. 264/1999 sia la necessità di contenere il numero degli studenti per certi corsi di laurea, che, se eccessivamente affollati, non potrebbero garantire adeguati livelli formativi. In quest’ottica, l’accesso programmato mira sì a valutare l’attitudine dei candidati, ma in funzione di definire il numero ottimale degli iscritti …”].
Tale funzione selettiva necessariamente viene meno allorché il numero dei posti disponibili, come nel caso in esame, sia superiore a quello dei richiedenti.
Va quindi in conclusione ritenuto che la disponibilità di posti costituisca di per sé l’obbligo per le università di coprirli, se del caso mediante accoglimento delle domande trasferimento di studenti dall’estero, essendo l’amministrazione obbligata a rendere il servizio pubblico a cui è preordinata e così garantire l’esercizio di un diritto della persona e contemporaneamente il proficuo utilizzo delle risorse a tale scopo stanziate (che resterebbero altrimenti inutilizzate, non vedendosi come le risorse riferibili ai posti non coperti possano essere accantonate e sfruttate in futuro per ulteriori destinazioni formative).
5. Con assorbimento di ogni altra censura, il ricorso ed i motivi aggiunti vanno quindi accolti con conseguente annullamento, in parte qua, dei predetti decreti rettorali. Ne consegue l’obbligo dell’amministrazione di definire il procedimento nel senso sopra precisato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie con le conseguenze di cui in motivazione.
Condanna l’amministrazione resistente al rimborso delle spese di giudizio che liquida in complessivi Euro 2000, oltre accessori e rimborso del contributo unificato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in L’Aquila nella camera di consiglio del giorno 13 giugno 2012 con l’intervento dei magistrati:
Elvio Antonelli, Presidente FF
Paolo Passoni, Consigliere
Alberto Tramaglini, Consigliere, Estensore