+39 049 82 56 56 9

Tribunale di Palermo – Sent. 1838/2018 – Presunta evasione contributiva

Presunta evasione contributiva.

Con questa Sentenza, il Tribunale di Palermo ha accolto il ricorso di una società che ha ritenuto che il tardivo versamento dei contributi previdenziali non integrasse la fattispecie di “evasione” che invece l’INPS aveva contestato, sebbene il ravvedimento operoso, ed il pagamento dell’imposta, sia avvenuto oltre i 12 mesi dalla denuncia del rapporto lavorativo.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Giudice del Lavoro, Paola Marino nella causa civile iscritta al n° 3/2018 R.G.L., promossa

D A

T.L., rappresentato e difeso dall’avv.to SIDOTI MASSIMO ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Indirizzo Telematico

C O N T R O

I.N.P.S., in persona del legale rappresentante pro-tempore, legalmente domiciliati in Roma ed elettivamente in Palermo, Via Laurana 59, con l’avv. M.G.S. che lo rappresenta e difende giusta procura generale alle liti.

All’udienza del 06/06/2018, ha pronunziato

S E N T E N Z A

mediante lettura del seguente dispositivo e delle ragioni di fatto e di diritto della decisione

DISPOSITIVO

Il Giudice, definitivamente pronunciando, annulla l’avviso di addebito opposto.

Condanna l’ I.N.P.S. alla rifusione in favore di parte ricorrente delle spese di lite, liquidandole in complessivi € […] per compensi professionali, oltre rimborso spese generali 15%, IVA e CPA, come per legge.

FATTO E DIRITTO

Con ricorso depositato il 30.12.2017 parte ricorrente indicata in epigrafe oppose avviso di addebito n. 596 2017 00061527 48 000 contenete la richiesta di pagamento di complessive € […], relative alla sanzione applicata per evasione contributiva, per tardivo invio del DM-10 per il periodo: 01/2015, notificatogli il 24.11.2017e.

L’Inps si costituì in giudizio, deducendo l’infondatezza dell’opposizione di cui chiese il rigetto.

La causa, senza alcuna attività istruttoria salvo l’esame dei documenti è stata decisa all’odierna udienza.

Il ricorso va accolto.

Ed invero, dal complesso delle circostanze di fatto pacifiche tra le parti e documentate deve escludersi la volontà specifica della ricorrente di non pagare i contributi mediante l’occultamento del rapporto di lavoro e delle retribuzioni.

In punto di fatto, è pacifico che T.L., nel periodo di cui trattasi (gennaio 2015) assumeva due lavoratori autonomi dello spettacolo, il 20/01/2015 provvedeva alla comunicazione di legge (UniLav), nonché alla comunicazione INPS ex ENPALS (c.d. Certificato di agibilità).

Provvedeva, tuttavia, ad inviare l’UniEmens solo in data 03/10/2016, e pagava i contributi in data 30.09.2016, provvedendo anche a versare le sanzioni per omissione contributiva.

Orbene, l’art. 116, comma 8, della legge n. 388/2000 dispone: “8. I soggetti che non provvedono entro il termine stabilito al pagamento dei contributi o premi dovuti alle gestioni previdenziali ed assistenziali, ovvero vi provvedono in misura inferiore a quella dovuta, sono tenuti:

a) nel caso di mancato o ritardato pagamento di contributi o premi, il cui ammontare è rilevabile dalle denunce e/o registrazioni obbligatorie, al pagamento di una sanzione civile, in ragione d’anno, pari al tasso ufficiale di riferimento maggiorato di 5,5 punti; la sanzione civile non può essere superiore al 40 per cento dell’importo dei contributi o premi non corrisposti entro la scadenza di legge;

b) in caso di evasione connessa a registrazioni o denunce obbligatorie omesse o non conformi al vero, cioè nel caso in cui il datore di lavoro, con l’intenzione specifica di non versare i contributi o premi, occulta rapporti di lavoro in essere ovvero le retribuzioni erogate, al pagamento di una sanzione civile, in ragione d’anno, pari al 30 per cento; la sanzione civile non può essere superiore al 60 per cento dell’importo dei contributi o premi non corrisposti entro la scadenza di legge. Qualora la denuncia della situazione debitoria sia effettuata spontaneamente prima di contestazioni o richieste da parte degli enti impositori e comunque entro dodici mesi dal termine stabilito per il pagamento dei contributi o premi e semprechè il versamento dei contributi o premi sia effettuato entro trenta giorni dalla denuncia stessa, i soggetti sono tenuti al pagamento di una sanzione civile, in ragione d’anno, pari al tasso ufficiale di riferimento maggiorato di 5,5 punti; la sanzione civile non può essere superiore al 40 per cento dell’importo dei contributi o premi non corrisposti entro la scadenza di legge.”.

Orbene, non è dubbio – poiché non è in contestazione – che i lavoratori fossero regolarmente denunciati e registrati nei libri obbligatori, sicché non può ritenersi che parte ricorrente volesse occultare i rapporti di lavoro né le retribuzioni; anche le denunce contributive del gennaio 2015 vennero inviate all’INPS dal ricorrente prima della contestazione, anche se solo il 3.10.2016, mentre il pagamento avvenne il precedente 30.09.2016, sicché non può ritenersi provato che il ricorrente avesse ritardato la denuncia delle somme dovute e il pagamento delle stesse allo specifico scopo di non versare i contributi.

La fattispecie appare quindi rientrare in quella cui vanno applicate le sanzioni previste per l’omissione contributiva, che sono state versate, come non contestato dall’INPS.

Ed invero, l’autorevole pronuncia citata dall’INPS, Cassazione, S.U., Sentenza n. 4808 del 2005, si pronunciava in relazione alla normativa previgente rispetto a quella sopra citata, così argomentando: “… Osserva l’ordinanza di rimessione che non giova a superare il contrasto l’entrata in vigore del citato art. 116, commi 8 ss., della legge 23.12.2000, n. 388, il quale, nel modificare la normativa precedente, configura la fattispecie dell’evasione contributiva in termini diversi e più favorevoli al datore di lavoro. Ed infatti, detta norma – come emerge dal testo sopra riportato – dopo aver reiterato la precedente dizione (…in caso di evasione connessa a registrazioni o denunce obbligatorie omesse o non conformi al vero…), specifica, diversamente che in passato, la circostanza secondo cui è legittimo parlare di evasione solo…nel caso in cui il datore di lavoro, con l’intenzione specifica di non versare contributi o premi, occulta il rapporto di lavoro in essere ovvero le retribuzioni erogate…, fornendo oggi un criterio discretivo ben più netto tra la pura e semplice morosità e l’evasione vera e propria, ed attribuendo per la prima volta rilievo decisivo allo specifico elemento intenzionale dell’evasore, assente nel testo previgente.

Non v’è dubbio che la nuova normativa non può applicarsi con efficacia ex tunc alle vicende pregresse (come, peraltro rilevato da Cass. 22 maggio 2002, n. 7524) atteso che il medesimo art. 116, precisa che “per i crediti in essere ed accertati al 30 settembre 2000, le sanzioni sono dovute secondo le modalità fissate dai commi 217, 218, 219, 220, 221, 222, 223, 224 dell’art. 1 della legge 662/1996”. Non è mancato, peraltro, in dottrina chi ritiene che, pur non essendo retroattiva, la nuova disciplina del 2000 per più versi rende esplicito un principio già ricavabile dalla disciplina precedente. In tal senso propende anche Cass. n. 14727/03 sottolineando come l’espressione “occulta il rapporto in essere ovvero le retribuzioni erogate” (contenuta nel citato art. 116, c. 8 della legge n. 388/2000) ha la funzione proprio di far emergere “un significato normativo estraibile già dalla precedente formula”. Va tenuto presente che gli obblighi di segnalazione del debito contributivo sono molteplici attenendo essi: a) agli obblighi di comunicazione nei confronti dell’Inps (e cioè l’obbligo di presentare le denunce contributive relative ai periodi di paga scaduti redatte su moduli predisposti dall’Istituto: si tratta della compilazione e dell’invio dei ed modelli DM 10 con cadenza mensile ex art. 30 legge 21 dicembre 1978 n. 843); b) l’obbligo delle denunce periodiche (giacché l’art. 4 della legge 4 agosto 1978 n. 467 impone di presentare all’inps, entro il 31 marzo di ogni anno, la denuncia nominativa dei lavoratori occupati mediante modello 01/M, con l’indicazione anche di tutti i dati necessari per l’applicazione delle norme in materia di previdenza ed assistenza obbligatoria); c) gli obblighi di registrazione sui libri paga (in cui devono figurare le retribuzioni corrisposte e le relative trattenute, nonché il numero di ore lavorate per ciascun giorno, l’indicazione distinta delle ore di lavoro straordinario, la retribuzione effettivamente corrisposta in denaro e in natura, ex lege 5 gennaio 1953 n. 4 e art. 20 DPR 30 giugno 1965 n. 1124).

In particolare, le modalità di denuncia e di versamento dei contributi previdenziali sono dal citato art. 30 della legge n. 843 del 1978 testualmente desunte dal d.m. 5.2.1969 (pubblicato su G.Uff., n. 67 del 13.3.1969) espressamente ispirato allo scopo di attuare un sistema di versamento “…tale da consentire la diretta rilevazione della retribuzione imponibile”. Detta finalità veniva perseguita proprio attraverso l’istituzione di un sistema di denunzia dei contributi basato sulla trasmissione degli elenchi nominativi dei lavoratori occupati, con l’indicazione delle retribuzioni corrisposte, di modo che i dati rilevabili da quegli elenchi potessero consentire anche la tempestiva ricostruzione delle posizioni assicurative, per una sollecita liquidazione delle pensioni degli aventi diritto, nonché la periodica informazione ai lavoratori dell’accreditamento dei contributi versati a loro favore. Tutto ciò premesso, e tenuto conto che, nel caso di specie, la società ricorrente non aveva provveduto a trasmettere all’Inps i modelli D.M. 10 e 01/M contenenti tutti i dati costitutivi del debito contributivo (così come ammesso nello stesso ricorso), deve rilevarsi che l’orientamento interpretativo seguito dalla sentenza impugnata appare preferibile sul piano della coerenza logico- giuridica al sistema sopra delineato.

Non può negarsi, infatti, che l’ipotesi meno grave, di cui alla lettera a) dell’arti comma 217, si articola in due sub-ipotesi, ravvisabili: a1) nel mancato o ritardato pagamento di contributi o premi, il cui ammontare è rilevabile dalle denunce e registrazioni obbligatorie; a2) nel mancato o ritardato pagamento di contributi o premi il cui ammontare è rilevabile dalle denunce e dalle registrazioni obbligatorie. Nell’ipotesi sub a1) la meno grave fattispecie dell’omissione contributiva si realizza quando tutti gli adempimenti obbligatori risultano regolarmente effettuati, mancando solo il pagamento, mentre l’ipotesi sub a2), pur nella sua apparente contraddittorietà si spiega perché vi sono casi in cui non vi è obbligo di registrazioni, pur sussistendo l’obbligo della denuncia (come nel caso di collaboratori familiari) sicché è sufficiente, perché si abbia omissione contributiva, che sia regolare la denuncia, senza il relativo pagamento.

Pertanto, la fattispecie dell’omissione contributiva deve ritenersi limitata all’ipotesi del (solo) mancato pagamento da parte del datore di lavoro, in presenza di tutte le denunce e registrazioni obbligatorie necessarie, mentre la mancanza di uno solo degli altri, necessari adempimenti – in quanto strettamente funzionali al regolare svolgimento dei compiti di istituto dell’Ente previdenziale, ed alla tempestiva soddisfazione dei diritti pensionistici dei lavoratori assicurati – è sufficiente ad integrare gli estremi della evasione. Supporta tale conclusione la considerazione – fatta propria dalla citate sentenze nn. 1552/2003 e 5386/2003 – che, diversamente opinando, non troverebbe mai applicazione l’ipotesi particolare – ricadente appunto nella lettera b) e non nella lettera a) secondo l’espressa previsione dell’ultimo periodo dell’art. 1, comma 217, cit. – della spontanea denuncia tardiva (c.d. ravvedimento operoso) entro sei mesi dalla scadenza del termine stabilito per il pagamento dei contributi se il ritardo nella denuncia dovesse equipararsi per ciò solo (e quindi sempre) alla fattispecie del mero mancato o ritardato pagamento dei contributi. E, se è vero che, nel caso di denuncia presentata spontaneamente entro i sei mesi dalla scadenza del termine di adempimento, la sanzione una tantum non è dovuta, realizzandosi una fattispecie di “ravvedimento operoso”, previsto dal legislatore, occorre pur sempre considerare che, per beneficiare della misura premiale dell’eliminazione della sanzione predetta, il versamento dei contributi o premi deve essere effettuato entro trenta giorni dalla denuncia stessa.

Senza trascurare di considerare che un’interpretazione meno rigorosa del concetto di omissione, esteso a tutte le ipotesi che in qualunque modo abbiano reso possibile all’Ente previdenziale l’accertamento degli inadempimenti contributivi, anche a distanza di tempo, o in ritardo rispetto alle cadenze informative periodiche prescritte dalla legge n. 843 del 1978, aggraverebbe la posizione dell’Ente previdenziale, imponendo allo stesso un’incessante attività ispettiva, laddove il sistema postula, anche nel suo aspetto contributivo, per la sua funzionalità, una collaborazione spontanea tra i soggetti interessati.

Del resto, l’espresso riferimento da parte del legislatore alle denuncie mensili obbligatorie non può restare privo di significato, anche in considerazione del valore legale attribuito a tali titoli: ne deriva, quindi, che, nel vigore della legge n. 662 de 1966 (applicabile alla specie), in ogni ipotesi in cui le denuncie obbligatorie non siano state presentate è integrata la fattispecie legale sanzionarle, anche qualora i dipendenti risultino registrati nei libri matricola.

Non è inutile sottolineare, da ultimo, che il rigore della disciplina si giustifica in base alla circostanza che le denunce mensili obbligatorie costituiscono titolo esecutivo ai sensi dell’ari 2 della legge n. 389 del 1989 e consentono, pertanto, all’Istituto previdenziale di agire immediatamente per il recupero del credito. In conclusione, la sentenza impugnata non merita censura, sicché il ricorso – limitatamente al primo motivo per il quale sono state investite queste Sezioni Unite – non può essere accolto.”.

Orbene, come osservato dalle stesse Sezioni Unite nella sentenza sopra riportata, la norma qui applicabile dell’art. 116, comma 8, della legge n. 388/2000 lett. b) dopo aver reiterato la precedente dizione (…in caso di evasione connessa a registrazioni o denunce obbligatorie omesse o non conformi al vero…), specifica, diversamente che in passato, la circostanza secondo cui è legittimo parlare di evasione solo…nel caso in cui il datore di lavoro, con l’intenzione specifica di non versare contributi o premi, occulta il rapporto di lavoro in essere ovvero le retribuzioni erogate…, fornendo oggi un criterio discretivo ben più netto tra la pura e semplice morosità e l’evasione vera e propria, ed attribuendo per la prima volta rilievo decisivo allo specifico elemento intenzionale dell’evasore, assente nel testo previgente.; la Corte, inoltre, ha affermato il principio in relazione al solo adempimento da parte del datore di lavoro della registrazione nel libro matricola (cfr. massima e precisazione relativa al caso di specie, infra), non anche alla situazione in cui il datore effettui anche le denunce da cui possa desumersi la retribuzione dei lavoratori: solo in tal caso, infatti, potrebbe dubitarsi della sua finalità di occultare le retribuzioni, che invece risultano comunicate ove il datore compili il libro paga, oggi LUL. In detta ultima situazione, infatti, sembra non potersi dubitare che il datore di lavoro abbia già effettuato la comunicazione delle retribuzioni, sicché non può ritenersi che egli abbia omesso la presentazione del DM10 occultando la retribuzione per non pagare i contributi, la cui debenza era già stata da lui dichiarata con il dichiarare la retribuzione corrisposta.

Successivamente la Corte di Cassazione, con la sentenza della Sezione Lavoro n. 6405/2017, relativa a diversa fattispecie di denuncia di rapporti a progetto poi ritenuti di natura subordinata in giudizio, ha affermato: “Benché non siano mancati contrasti nella giurisprudenza di questa Corte (v. Cass., n. 1230/2011, citata dalla ricorrente, la quale deve tuttavia ritenersi pronuncia isolata), deve ritenersi ormai consolidato il principio secondo il quale, perché ricorra l’ipotesi dell’evasione contributiva, a mente dell’art. 116, comma 8, lett. a) legge n. 388/00, è necessario che vi sia a) occultamento di rapporti di lavoro ovvero di retribuzione erogate; b) tale occultamento sia stato attuato con l’intenzione specifica di non versare i contributi o i premi, ossia con un comportamento volontario finalizzato allo scopo indicato.

3.- Il primo requisito sussiste non solo quando vi sia l’assoluta mancanza di un qualsivoglia elemento documentale che renda possibile l’accertamento della posizione lavorativa o delle retribuzioni, ma anche quando ricorra un’incompleta o non conforme al vero denuncia obbligatoria, attraverso la quale viene celata all’ente previdenziale (e, quindi, occultata) l’effettiva sussistenza dei presupposti fattuali dell’imposizione.

Né a contrario avviso può condurre il rilievo che, in ipotesi di registrazione dei rapporti e delle effettive retribuzioni, l’ente impositore potrebbe venire a conoscenza della situazione effettiva, atteso che tale conoscenza resterebbe, in difetto di una denuncia periodica veritiera, meramente eventuale, collegata cioè ad un altrettanto eventuale accertamento, e non farebbe quindi venir meno, in relazione alla denuncia infedele, l’occultamento dei rapporti o delle retribuzioni (in tal senso, Cass., 27 dicembre 2011, n. 28966).

Come già posto in luce dalla pronuncia delle Sezioni Unite n. 4808/2005, un’interpretazione meno rigorosa del concetto di omissione, esteso a tutte le ipotesi che in qualunque modo abbiano reso possibile all’Ente previdenziale l’accertamento degli inadempimenti contributivi, anche a distanza di tempo, o in ritardo rispetto alle cadenze informative periodiche prescritte dalla legge, aggraverebbe la posizione dell’Istituto, imponendogli un’incessante attività ispettiva, laddove il sistema postula, anche nel suo aspetto contributivo, per la sua funzionalità, una collaborazione spontanea tra i soggetti interessati. …

4.- In ordine al secondo requisito, di carattere soggettivo, è agevole rilevare che l’aver qualificato un rapporto di lavoro come di lavoro a progetto, mentre in realtà si trattava di un rapporto di lavoro subordinato, fa presumere l’esistenza di una specifica volontà datoriale di sottrarsi al versamento dei contributi dovuti.

La formulazione della norma (art. 116, comma 8°, lett. b) «in caso di evasione connessa a registrazioni o denunce obbligatorie omesse o non conformi al vero, cioè nel caso in cui il datore di lavoro, con l’intenzione specifica di non versare i contributi o premi, occulta rapporti di lavoro in essere ovvero le retribuzioni erogate…»), attribuisce rilievo all’elemento intenzionale, creando, da un lato, una presunzione iuris tantum della volontà del datore di lavoro di sottrarsi al pagamento dei contributi e, dall’altro, consentendo, anche in ipotesi di denunce omesse o non veritiere, di escludere l’ipotesi dell’evasione: la suddetta presunzione (proprio perché non assoluta) può essere vinta, con onere probatorio a carico del datore di lavoro inadempiente, attraverso l’allegazione e prova di circostanze dimostrative dell’assenza del fine fraudolento; e il relativo accertamento, tipicamente di merito, resterà, secondo le regole generali, intangibile in sede di legittimità ove congruamente motivato (così ancora Cass., 28966/2011, cit.; Cass. n. 10509 del 25/06/2012; Cass. n. 4188 del 20/02/2013; Cass. n. 17119 del 25/08/2015).”.

Nella specie, le circostanze pacifiche che il datore di lavoro avesse effettuato tutte le denunce obbligatorie, che egli si attivò, senza ricevere alcuna contestazione, anche se dopo i 12 mesi dal dovuto per depositare il DM10 e che effettuò il versamento pochi giorni prima della denuncia – così non consentendo di integrare pienamente l’ipotesi di ravvedimento operoso con applicazione automatica delle sanzioni per omissione – porta a ritenere provato che egli non avesse ritardato il deposito dell’EMENS al fine di non pagare i contributi – che spontaneamente denunciò a versò -, bensì che, come dedotto, lo dimenticò.

Ed invero, dalla complessiva condotta del ricorrente non può trarsi prova di una volontà specifica diretta a non versare i contributi, che sembra anzi doversi escludere.

Vanno, quindi, emesse le statuizioni di cui alla parte dispositiva, anche in punto di spese di lite, che vanno poste a carico dell’ Istituto soccombente.

P.Q.M.

Come sopra.

Così deciso in Palermo il 06/06/2018

IL GIUDICE

Paola Marino

Leave a comment

Indirizzo

Palermo - Piazza Castelnuovo, 35

Contatti

Tel: 0498256569 - Fax: 04921064352

Orari

Lunedì - Giovedì 10:00/13:00; Venerdì 10:00/16:00

Studio Legale Sidoti & Soci - P.Iva: 05679330828
Terms of use and Privacy Policy

×