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Consiglio di Stato – Sent. 8653/2023 – Annullamento sentenza che negava, a due abogados, il riconoscimento del titolo abilitativo straniero in Italia.

Con questo provvedimento, il Consiglio di Stato ha annullato la sentenza del TAR Lazio che negava, a due abogados, il riconoscimento del titolo abilitativo straniero in Italia, così come previsto dalla normativa comunitaria.

R E P U B B L I C A I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7653 del 2022, proposto da C.L, G.M., rappresentati e difesi dagli avvocati Francesco Faberi, Massimo Sidoti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Francesco Faberi in Roma, via Fabio Massimo 60;


contro

Ministero della Giustizia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) n. 10378/2022, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero della Giustizia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 luglio 2023 il Pres. Michele Corradino e viste le conclusioni delle parti come da verbale di udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO


Con ricorso presentato innanzi al Tar Lazio, gli odierni appellanti hanno impugnato i decreti con i quali il Ministero della Giustizia ha rigettato le loro domande di riconoscimento del titolo di “abogado” (avvocato) in quanto ritenute prive dei requisiti previsti dalla direttiva 2005/36/CE.
I ricorrenti hanno avversato i provvedimenti con una serie articolata di censure che si avrà modo di analizzare compiutamente nel proseguo in quanto riproposte integralmente in grado di appello.
Al fine di inquadrare compiutamente la vicenda oggetto del presente gravame, occorre, preliminarmente, ripercorrere la vicenda in punto di fatto.
Gli odierni appellanti sono stati iscritti presso il “Colegio de Abogados” di Santa Cruz de La Palma, rispettivamente, il 15 gennaio 2015 e il 10 maggio 2013, dopo aver conseguito in Spagna, previa omologazione del diploma di laurea italiano, il titolo – mai annullato dall’autorità spagnola – di “abogado”.
In particolare, dal certificato di iscrizione a Santa Cruz de La Palma (depositato in atti contestualmente alla sua traduzione) del signor D.L., risulta che lo stesso ha domandato l’omologazione il 14 gennaio 2014 e che l’ha ottenuta il 14 novembre 2014; si evince, inoltre, che egli non è più esercente dal 13 maggio 2017. Con riferimento alla posizione del sig. M.G., emerge, invece, che il medesimo ha richiesto l’omologazione il 19 giugno 2012, conseguendola il 27 novembre 2012.
Successivamente, gli appellanti, tra il 2014 e nel 2015, hanno presentato domanda per il riconoscimento del titolo spagnolo di “abogado”, ai sensi della direttiva 2005/36/CE, recepita con il d.lgs. n. 206/07, rispetto alla quale – come poc’anzi anticipato – il Ministero delle Giustizia si è determinato negativamente.
Nello specifico, l’amministrazione, alla luce del parere negativo al riconoscimento dei titoli di 333 “abogados” italiani, tra cui quelli riguardanti gli appellanti, espresso nella conferenza di servizi tenutasi il 9 giugno 2016, ha motivato il rigetto sostenendo che, secondo quanto avrebbe affermato la Spagna attraverso una interlocuzione resa mediante il sistema di cooperazione tra autorità degli Stati membri dell’Unione Europea Internal Market Information System, d’ora innanzi solo IMI, (in particolare, con la decisiva IMI n. 49272 del 2016), i loro titoli di “abogados” sarebbero risultati irregolari per via del mancato ottenimento del master in avvocatura e del superamento dell’esame di Stato, obbligatori dal 30 ottobre 2011, in virtù dell’entrata in vigore della legge n. 34/2006.
In particolare, nel citato provvedimento di rigetto si legge che, dalle informazioni acquisite attraverso il sistema IMI dal “Ministerio de Justicia” e dal “Consejo General de la Abogacia Espanola” sarebbe emerso che “ai sensi della ley 34 del 2006, per coloro, come l’istante, che abbiano presentato richiesta di omologazione del proprio titolo straniero di laureato in giurisprudenza in epoca successiva al 31 ottobre 2011, sono richiesti specifici requisiti al fine dell’accesso alla professione di abogado in Spagna, costituiti dalla frequenza di un master e dal superamento dell’esame di stato in Spagna”; – in diverse comunicazioni ufficiali, il “Ministerio
de Justicia” avrebbe segnalato che “le iscrizioni presso i Colegios de abogados di soggetti che – formulata la richiesta di omologazione del proprio titolo straniero di laureata in data successiva al 31 ottobre 2011 – non abbiano frequentato un master e superato l’esame in Spagna, devono ritenersi irregolari”;
– soltanto dopo reiterate richieste di chiarimenti il “Consejo de la Abogacia Espanola”, con risposta per mezzo del sistema IMI n. 49272 dell’11 maggio 2016, avrebbe confermato che “si dovranno accettare soltanto le iscrizioni all’Albo di cittadini stranieri con titoli omologati, senza chiedere la formazione complementare prevista dalla ley 34 del 2006, quando il titolo presentato avesse iniziato la pratica di omologazione prima del 31 ottobre 2011”.
Con sentenza n. 10378 del 21 luglio 2022, il Tar per il Lazio, dopo aver ripercorso le tappe significative dell’evoluzione legislativa spagnola e, conseguentemente, del mutamento di orientamento del Ministero della Giustizia italiano, ha rigettato il ricorso avanzato dagli odierni appellanti, evidenziando che i ricorrenti non possedessero i requisiti che le stesse autorità competenti spagnole hanno riferito essere indispensabili ai fini del corretto accesso ed esercizio della professione di avvocato in Spagna.
Con appello notificato il 5 ottobre 2022 e depositato il successivo 6 ottobre 2022, gli appellanti hanno avversato il provvedimento del giudice di primo grado, contestualmente domandandone la sospensione in via cautelare, riproponendo le censure non accolte in sede di giudizio di primo grado, in chiave critica rispetto alla sentenza impugnata.
Con il primo motivo di censura, l’appellante M.G. ha eccepito che il Tar non avrebbe considerato il venire meno dell’interesse a resistere (art. 100 c.p.c.) del Ministero della Giustizia, in quanto, nella circolare del 7 dicembre 2021, quindi successiva rispetto alla conferenza di servizi del 2016, emessa dallo stesso dicastero viene affermato che “in sintesi, ferme restano eventuali ulteriori problematicità, si rileva la regolarità della posizione di coloro che abbiano domandato l’omologazione della laurea italiana in Spagna entro il 27 luglio 2012, pur non avendo poi effettuato il master né sostenuto l’esame di stato sopra indicati”.
Da tale assunto, sarebbe desumibile, nella prospettazione di parte appellante, la regolare iscrizione di M.G., elemento dal quale l’appellante fa discendere il difetto di legittimazione dell’amministrazione.
Sono formulati, invece, da entrambi gli appellanti i successivi motivi di censura.
Con il secondo motivo di appello, i medesimi hanno riproposto il secondo motivo di ricorso introduttivo – su cui il Tar non si sarebbe pronunciato – nel quale era stato riportato il testo integrale della presunta “risposta completa” allegata alla IMI n. 49272 del 2016, che avrebbe dimostrato la legittimità delle iscrizioni avvenute in Spagna prima del 29 giugno 2015, alla luce di una peculiare interpretazione della legge 34/2006 tenuta da alcuni organi giudiziali fino a tale data.
Con il terzo motivo di appello, essi – riproponendo il primo motivo di ricorso in primo grado – hanno censurato la violazione del principio del mutuo riconoscimento dei titoli sancito negli artt. 13, 14, 50 e 51 della Direttiva 2005/36/CE.
Nella prospettazione di parte appellante, sarebbe l’iscrizione nei Colegios – né annullata, né sospesa – a far sorgere il diritto ad esercitare la professione di “abogado” in Spagna e nel resto dell’Unione Europea. La fondatezza di questo motivo sarebbe confermata – a livello probatorio – dalla “acreditación” resa in favore dell’appellante D.L.
Con il quarto motivo, gli interessati hanno denunciato la violazione degli artt. 65 c.p.a., 6 Cedu, 8 Cedu e 111 Cost. in relazione alla mancata disposizione di approfondimenti istruttori chiesti in primo grado alla luce della “acreditación” spagnola, emessa dalla competente Autorità IMI ai sensi dell’art. 13 della direttiva 2005/36/CE, in cui si attesterebbe che l’appellante D.L. è abilitato a svolgere la professione di “abogado” in Spagna.
Con il quinto motivo, gli appellanti hanno lamentato, in seguito, la violazione degli artt. 65 c.p.a., 6 Cedu, 8 Cedu e 111 Cost. per essersi la sentenza basata su una IMI asseritamente manipolata (la menzionata IMI n. 49272 del 2016) e per non avere il giudice disposto i mezzi istruttori idonei a provare in giudizio la sussistenza di tale manipolazione. Il Ministero della Giustizia avrebbe depositato in atti una versione priva di una parte essenziale della comunicazione, favorevole agli appellanti, in cui, a specifica domanda italiana, il CGAE avrebbe risposto che l’interessato – il cui nome compare unitamente a quello degli appellanti nel parere negativo al riconoscimento dei titoli di 333 “abogados” italiani sopra richiamato- era validamente iscritto come “abogado”, perché la sua iscrizione senza master ed esame di Stato era avvenuta prima del 29 giugno 2015 (“…Pertanto, la sua iscrizione è regolare. L’iscrizione non è stata annullata […] può esercitare la professione di avvocato in Spagna”).
Con il sesto motivo, i medesimi hanno censurato, infine, la violazione degli artt. 54 c.p.a., 6 Cedu e 111 Cost. e, in particolare, la mancata pronuncia del giudice di primo grado sulla richiesta di “ammissione tardiva” di un documento avanzata con memoria di replica, in cui si sarebbe dimostrato che, successivamente alla IMI n. 49272 del 2016, ne sarebbe stata, comunque, emessa un’altra (la IMI n. 52578 del 2016), in cui, nuovamente, il CGAE avrebbe affermato che “Perrone può esercitare la professione di abogado”.
Conclusivamente, in relazione al valore da attribuire alle comunicazioni IMI e, in particolare, sulla loro efficacia e modalità di utilizzo, gli appellanti hanno domandato di sollevare questione pregiudiziale innanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea e, con particolare riferimento alle dedotte falsificazioni della IMI n. 49272 del 2016, hanno richiesto la trasmissione degli atti agli organi giurisdizionali competenti, ai sensi dell’art. 331, comma 4, c.p.p..
In data 19 ottobre 2022, il Ministero della Giustizia si è costituito in giudizio e, in data 22 ottobre 2022, in vista della camera di consiglio del successivo 27 ottobre 2022, ha depositato una memoria difensiva. Ad avviso dell’amministrazione, non rileverebbe la formale iscrizione in un “Colegio di Abogados”, bensì il possesso o il mancato possesso, in capo agli interessati, dei requisiti sostanziali richiesti dall’ordinamento spagnolo per esercitare la professione. Inoltre, in tale memoria, il Ministero della Giustizia si è opposto alla trasmissione degli atti ai sensi dell’art. 331, comma 4, c.p.p.. e al rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, poiché domandato per la prima volta innanzi a questo Consiglio di Stato “e comunque inammissibile”.
Con ordinanza n. 5169 del 27 ottobre 2022, è stata accolta l’istanza di sospensione in via cautelare della sentenza del Tar per il Lazio n. 10378 del 21 luglio 2022.
In vista dell’udienza del 13 luglio 2023, il Ministero della Giustizia, in data 12 giugno 2022, ha depositato una memoria e l’appellante, in data 22 giugno 2023, ha depositato una memoria di replica.
Con tali atti, le parti si sono sostanzialmente riportate a quanto già argomentato.
All’udienza del giorno 13 luglio 2023, la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
L’appello è fondato.
Giova premettere, in punto di diritto, che l’art. 3 del d.lgs. n. 206 del 2007 – di attuazione della Direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 settembre 2005, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali – sancisce, per quanto riguarda il nostro ordinamento, un principio di equipollenza dei titoli professionali nell’ambito dell’Unione Europea. In particolare, tale principio prevede che, alla qualificazione professionale che il cittadino ottiene in altro Stato membro, debbano essere attribuite medesime validità, efficacia ed estensione in Italia.
Deriva da ciò che il titolo conseguito all’estero garantisce tutte, ma altresì unicamente, le possibilità professionali offerte là dove esso è acquisito.
Per quanto di interesse nella presente sede, occorre ulteriormente rilevare che Sistema di informazione del mercato interno (c.d. Sistema “IMI”) è lo strumento informatico, multilingue, obbligatorio – sviluppato dalla Commissione europea, in collaborazione con gli Stati membri, per la cooperazione amministrativa e l’assistenza reciproca – cui gli Stati membri devono attenersi per lo scambio di informazioni tra autorità competenti in relazione a tutte le direttive del mercato interno, compresa la menzionata Direttiva 2005/36/CE (cfr. in particolare art. 8, art. 50, paragrafi 1, 2 e 3, e art. 56 della Direttiva de qua), in osservanza del Regolamento 1024/2012/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’Unione Europea, del 25 ottobre 2012, che ha abrogato la precedente decisione 2008/49/CE della Commissione (c.d. “regolamento IMI”).
Evidenzia il Collegio che, ai sensi del considerando n. 6 del citato regolamento “l’IMI dovrebbe essere considerato principalmente uno strumento utilizzato per lo scambio di informazioni, compresi i dati personali, che altrimenti si svolgerebbe attraverso altri mezzi, tra cui la posta ordinaria, il fax o la posta elettronica, sulla base di un obbligo giuridico imposto alle autorità e agli organismi degli Stati membri da atti dell’Unione”; dal successivo considerando n. 21 del medesimo regolamento, si evince che le informazioni ricevute da un’autorità competente attraverso l’IMI da un altro Stato membro hanno un “valore probatorio”.
La normativa europea è chiara e univoca nel delineare il sistema IMI quale strumento con funzione essenzialmente informativa e con valenza meramente probatoria, avente il fine precipuo di agevolare e rendere più rapida la cooperazione amministrativa tra le autorità competenti degli Stati membri e, in definitiva, di contribuire ad accelerare le procedure e di ridurre i costi dovuti alle attese.
Ciò esime questo Collegio dalla formulazione di un rinvio pregiudiziale interpretativo alla Corte di giustizia dell’Unione europea ai sensi dell’art. 267 TFUE, nei termini e per il fine richiesti dagli appellanti (cfr. Corte Giust. UE Gr. Sez., 6 ottobre 2021, C-561/19).
Da tale interpretazione, discende che una comunicazione IMI non potrebbe mai annullare o, comunque, rendere inefficace un titolo professionale di “abogado”, in assenza di una decisione nazionale interna di annullamento da parte delle autorità competenti.
Nella fattispecie, rileva il Collegio come l’IMI sulla base della quale l’amministrazione italiana si è determinata con i provvedimenti di rigetto gravati in primo grado si sia limitata a comunicare l’irregolarità delle iscrizioni negli ordini professionali spagnoli e ad affermare che si sarebbe proceduto alla cancellazione delle stesse.
Alla luce degli atti del presente giudizio, è emerso che tali iscrizioni non sono state mai formalmente annullate, né sospese, dalle autorità spagnole che l’hanno disposta, ossia dai singoli “Colegios de Abogados”, competenti ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. d) della Direttiva 2005/36/CE.
È dirimente rilevare che, di fatto, gli odierni appellanti risultavano muniti del titolo di “abogado”, che li abilita all’esercizio della professione forense presso le Autorità giurisdizionali spagnole, al tempo in cui l’amministrazione italiana adottava i decreti di rigetto gravati in primo grado (e non risulta, tuttora, diversamente).
Merita, dunque, positivo apprezzamento il terzo motivo di appello, con il quale gli interessati censurano la violazione principio del mutuo riconoscimento dei titoli sancito negli artt. 13, 14, 50 e 51 della Direttiva 2005/36/CE, secondo cui lo Stato membro ospitante non può sindacare la validità del titolo straniero, che non sia stato invalidato dalle competenti Autorità straniere (nel caso di specie – si ribadisce – i “Colegios de abogado”).
Invero, l’amministrazione italiana, procedendo al rigetto delle domande di riconoscimento del titolo di “abogado” – la cui sussistenza è presupposta e incontestata – non ha, sostanzialmente, riconosciuto la perdurante validità ed efficacia dei titoli in questione, così contravvenendo al predetto principio di valenza europea.
Diversamente da quanto ritenuto dal Tar nella sentenza ivi impugnata – e correttamente rilevato da parte appellante – è l’iscrizione come “abogado”, né annullata, né mai sospesa, a far sorgere il diritto a esercitare la professione di “abogado” in Spagna e nel resto dell’Unione Europea.
A ciò aggiungasi che, procedendo ad emettere i decreti di reiezione impugnati in primo grado, motivando sulla base di una mera comunicazione, tramite il sistema IMI – della cui natura si è già ampiamente riferito -, di irregolarità dei titoli di iscrizione negli ordini professionali spagnoli, l’amministrazione non si è, peraltro, conformata ai canoni, di derivazione europea, di proporzionalità – principio insito nell’art. 97 della Costituzione quale corollario del buon andamento – e di ragionevolezza.
Invero, nel contesto di una generale situazione di incertezza nell’ordinamento spagnolo, di cui la comunicazione di varie IMI – sia precedenti che successive alla generale IMI n. 49272 del 2016, di senso tra loro contrastante e, talora, in sé, dal contenuto non chiaro e univoco – è sintomatica, a fronte dell’unico dato obiettivo e certo della sussistenza di iscrizioni ancora valide, sarebbe stato ragionevole e proporzionato che l’amministrazione italiana, nel rispetto del citato principio del mutuo riconoscimento dei titoli professionali, procedesse al riconoscimento dei titoli di “abogado” formalmente rilasciati dalle Autorità spagnole, eventualmente esprimendosi con riserva o, comunque, risolutivamente condizionando le proprie determinazioni all’eventualità di un successivo annullamento dei titoli stessi che, del resto, non è poi mai avvenuto (soluzione, peraltro, proposta dall’Avvocatura
Generale dello Stato nel parere del 27 luglio 2015, richiesto dallo stesso Ministero della Giustizia) e fatte, in ogni caso, salve le ulteriori valutazioni che l’amministrazione avrebbe potuto compiere in materia (cfr. Adunanze Plenarie del Consiglio di Stato n. 19, 20, 21 e 22 del 29 dicembre 2022).
Alla luce della suesposta motivazione, l’appello va accolto, in relazione al terzo motivo di appello, con il quale gli interessati hanno censurato la violazione del principio del mutuo riconoscimento dei titoli sancito negli artt. 13, 14, 50 e 51 della Direttiva 2005/36/ce.
Tale conclusione, raggiunta per via ermeneutica, esime quindi il Collegio dall’accoglimento dell’istanza di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE proposta da parte appellante in quanto, nel caso di specie, non è in dubbio la compatibilità della normativa interna rispetto alle norme comunitarie.
La questione di diritto dell’Unione sollevata non è rilevante ai fini della soluzione della controversia, come già ampiamente dedotto. La complessità della vicenda è dipesa unicamente dalla modifica della normativa concernente l’abilitazione alla professione forense in uno Stato membro e della interpretazione che della suddetta normativa hanno fornito le Corti spagnole.
Del pari non può essere accolta l’istanza di trasmissione degli atti agli organi giurisdizionali competenti non ravvisandosene i presupposti.
Le questioni vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti ai sensi dell’articolo 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.
Sussistono altresì giuste ragioni, in considerazione della delicatezza degli interessi coinvolti, per disporre la compensazione delle spese del giudizio di appello.


P.Q.M.


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado ed annulla i provvedimenti con esso impugnati.
Spese compensate.


Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.


Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 luglio 2023 con l’intervento dei magistrati:


Michele Corradino, Presidente, Estensore
Pierfrancesco Ungari, Consigliere
Stefania Santoleri, Consigliere
Giovanni Pescatore, Consigliere
Nicola D’Angelo, Consigliere


IL PRESIDENTE, ESTENSORE
Michele Corradino
IL SEGRETARIO

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